Un vino tra monti e
vallate
Forse le nuove generazioni non sanno che alla Fonte, fra gli anni 50 e 60, si coltivava anche l’uva. A invogliare i Fontanari fu Davide Placidi detto ‘Diddino’ emigrato in seguito in Canada. Davide era nato a S. Demetrio, ma sposando Luigina Rosa era venuto ad abitare alla Fonte. Nella vallata il clima era più mite, si coltivavano prodotti a noi proibiti a causa dell’altitudine e tutti avevano il loro pezzetto di vigna. Chi di voi più avanti con l’età non ricorda il profumo di quelle melucce un po’ sbilenche che chiamavamo ‘meloncelle’? E il sapore di quelle albicocche e di quelle pesche? E chi ricorda Desideria e le sue bigonce piene di ciliegie quando arrivava alla Fonte con il suo asino da Fontecchio? E i baratti che si facevano, scambiando legna e cenere con i prodotti della vallata? Davide aveva la sua vigna a S. Demetrio e per un po’ continuò a coltivarla, ma la distanza era tanta, così come la vigna che Cesare ed Ottavio Rosa avevano a Campana, altro paese della vallata, o quella che Emidio Rosa aveva a Valle d’Ocre. Perciò i tre decisero di tentare l’avventura alla Fonte. Dopo varie riunioni e sopralluoghi i nostri pionieri scelsero ‘gl&’Olme’ e le ‘f&nestrell&’, terre esposte al sole ed al riparo dalle correnti. Cavarono i sassi dal terreno con un’operazione chiamata ‘lo scasso’ e con essi costruirono tutt’intorno dei muri delimitati da filo spinato, per impedire agli animali di entrarvi. Nelle vigne costruirono anche delle capanne per riporre gli attrezzi e per riposare. Giunto il momento di piantare le viti, i nostri chiesero aiuto ai valligiani che risposero con entusiasmo. Da Stiffe, Campana, Villa S. Angelo e Tussillo salirono per le montagne portando in dono le loro talee migliori. L’aiuto durò nel tempo poiché le viti, crescendo, avevano bisogno di cure speciali. Senza neppure essere chiamati salivano fino ‘agl&’Olm&’ insegnando il modo più adatto per lo svolgimento dei lavori. Ricordo con affetto un amico di papà Guido, si chiamava Pasquale De Matteis e veniva da Tussillo. Spesso papà trovava il lavoro già fatto e nella capanna ceste di frutta e fiaschi di vino portati dal suo amico. Mi commuovo ancora quando a mezzogiorno ci fermavamo nella capanna per il pranzo insieme ai miei genitori. Dopo aver steso per terra la tovaglia e tolto il cibo dalla bisaccia, papà tagliava il pane, mamma il companatico, poi ce lo porgevano e insieme mangiavamo ridendo e scherzando; con la malinconia dell’età, mi viene da paragonare la semplicità di quei gesti al “prese il pane e lo spezzò” di Gesù e non per essere blasfema, anzi, ma per la solenne e pura bellezza di quella vita frugale e serena di allora… Dopo il pranzo si chiacchierava con zio Ottavio, che aveva la vigna insieme a noi, a zio Attilio e zio Agapito, che avevano terreni lì vicino. Al ritorno alla sera, con le file di bestie e di uomini a cavallo io e mio fratello Renzo, stanchi, ci facevamo trascinare per la coda dalla nostra amata mula Peppina. Quanta fatica portare con le bigonce l’acqua dalla Fonte agl’Olm& quando era il tempo dell’inzolfatura, cioè dello spargimento dello zolfo necessario a mandar via i parassiti nemici della vite. E sempre con le bigonce si portava l’uva a casa. Una volta vendemmiata la si pestava coi piedi protetti da stivali, si spremeva nel torchio, per far bollire nelle ‘cott&re’ il mosto ottenuto, fatto poi raffreddare e messo infine nelle botti. Noi ragazze avevamo il compito di portare il mosto nelle conche sulla testa e ci divertivamo come matte. Il vino alla fine era un po’ asprigno però genuino e quindi si beveva volentieri. Prima di pestare l’uva però si sceglievano i grappoli più belli, regalandoli a chi non ne aveva proprio e stando attenti a non dimenticare qualcuno, per evitare gelosie. Era un momento molto bello che ci faceva sentire più uniti, come una grande famiglia. La vendemmia iniziava a metà ottobre, perciò il vino novello non si beveva a S. Martino ma a fine novembre. Quando arrivava il momento giusto s’invitavano i vicini e tutti insieme facevamo festa arrostendo castagne e passando così piacevole serate a chiacchierare. Questi i nomi dei vignaiuoli (in ordine alfabetico): Enolo e Pio D’Ascenzo; Giovanni D’Ascenzo (detto ‘Scuppetta’); Guido e Giovanni D’Ascenzo; Eugenio Lucantonio; Vincenzo Lucantonio (alla valle di S. Pietro); Augusto e Ottavio Rosa.
(Antonietta D’Ascenzo)