UN PRATO PER
SOGNARE
Un’estate cambiò il corso delle nostre vacanze di ragazzi. Era quasi la metà degli anni settanta quando i giovani villeggianti (perlopiù figli di emigranti) furono edotti dai residenti di una misteriosa scoperta… In silenzio, come quando si prepara una sorpresa, si percorreva uno stretto e tortuoso sentiero che attraversava la tagliata e finiva per sbucare inaspettatamente di fronte a una grande radura da farla apparire quasi un miraggio, tale da strappare ai novizi un ‘ohhh’ di stupore. Era ‘terra rotonda’ per la sua forma un po’ ovalizzata ma che, anche grazie alla sua posizione incastonata in una valletta naturale, dava l’illusione di trovarsi al cospetto di un vero campo di calcio. E ci volle poco a ribattezzarlo ‘San Siritto’ per la beffarda similitudine con lo stadio più famoso d’Italia. Quel prato verde diventò in breve il punto di riferimento dei nostri pomeriggi estivi; a nugoli ci ritrovavamo per il rituale pari-dispari con il quale si sceglievano i giocatori delle squadre (i primi erano i più quotati, le ultime scelte subivano una piccola umiliazione che provavano a vendicare in partita). Almeno tre generazioni di giovani hanno sognato su quel campo di ripetere le gesta dei propri idoli. Fino ad allora i ragazzi più piccoli avevano giocato in piazza o dietro la Chiesa, sotto la casa di Antonio D’Ascenzo che di tanto in tanto sbottava fino alla mitica minaccia: “Vagliò, s’ pigli’u curtegli’ v’ spar’!!! Iete a giucà alla tagliata!!!” I più grandi preferivano ‘l’ara ‘i u Rosa’ che permetteva sì di provare qualche acrobazia vista in tv, col rischio perpetuo però di inseguire il pallone per decine di metri o di perderlo dall’altra parte della strada. Terra rotonda diventò anche la meta della passeggiate delle ragazze e delle persone più mature, che venivano a godere delle schiamazzanti sfide senza fine. Chi non voleva sorbirsi la scarpinata nel bosco raggiungeva il campo con la bicicletta, lasciata a terra dietro i ‘macchioni’ che le celavano a chi transitava sulla statale. E nei periodi di punta diventava difficile pure trovare il parcheggio alle bici!! Solo verso il crepuscolo della sua storia San Siritto subì anche l’onta delle automobili, che sostavano su uno spiazzo posteriore, dopo aver affrontato un mini rally sulla strada sterrata detta “le maciune”. Capitava anche di dover forzatamente interrompere una partita per quegli acquazzoni violenti che venivano giù nelle ore più calde; ci si riparava alla meglio sotto gli alberi e poi, al rimpatrio del sole, si ricominciava imperterriti. Ognuno aveva poi adottato fedelmente il proprio sasso-spogliatoio dove appoggiava la sua roba. Alla fine del primo tempo si divideva l’acqua che i più evoluti (pochi) mantenevano al fresco in borracce termiche. Dopo memorabili sudate si rientrava finalmente in paese e a gruppetti si faceva tappa alla cantina di Lidia o allo spaccio per una gustosissima gassosa, sorseggiata ad occhi chiusi. Quando la malinconia mi bussa sulla spalla faccio ancora oggi una passeggiata solitaria fino a terra rotonda; il sentiero attraverso la tagliata è ormai chiuso, allora passo dalla strada e mentre scendo verso il prato mi pare di udire ancora le cristalline voci di ragazzini scalmanati che corrono dietro a un pallone inseguendo i loro piccoli grandi sogni.
(Fausto D’Ascenzo)