UN ANGELO PER AMICO

Oggi 27 aprile 2007, durante una rilassante passeggiata, i miei passi si sono interrotti di fronte a un nero cancello. Sulla sua sommità, all’interno di un piccolo cerchio a forma di corona, spiccano due  lettere maiuscole, F. A., ai suoi lati le due colonne di pietra magistralmente lavorate sorreggono altrettante croci di ferro battuto; in basso la data 1898 posta su un fermo simile a un cuore, ne testimonia l’anno della posa in opera. L’interno del cimitero, piccolo ma ben curato, lascia i visitatori affascinati; sui loculi costeggianti le mura laterali spiccano le foto dei defunti con gli sguardi protesi alla ricerca dei cari volti fontanari di fronte, mentre il vialetto centrale è fiancheggiato da alti cipressi, mute sentinelle, schierate sull’attenti per l’estremo saluto. I cognomi che ovunque si leggono sono gli stessi che tutt’ora il piccolo borgo annovera tra le proprie mura, diverso è invece quello del busto in pietra di un uomo, recante sul petto queste parole:

alla memoria di Sergio Corsetti, romano

che a Fonteavignone e alla sua gente,

portò amore e ne fu ricambiato.

Gli amici

Ricorrono oggi vent’anni dalla sua scomparsa ma ogni volta queste frasi mi turbano il cuore e mentre un nodo mi stringe la gola, nitide immagini scorrono febbrili nella mia mente…

Novembre 1971, dopo il sospirato diploma trovai con altri ragazzi delle Rocche un lavoro stagionale alla forestale per un rimboschimento ai piedi di Montecagno. Quel giorno rincasammo prima per via del forte vento e di una fantastica bufera di neve. Al rientro a casa conobbi Sergio, era seduto in cucina con gli zii Enolo, Carmine e con papà, nella sua bocca un sigaro scuro emanava un gradevole odore, sul tavolo un fiasco di vino, alcuni bicchieri pieni a metà e una guantiera di ferratelle. I quattro discorrevano amabilmente come amici di vecchia data. Dopo le presentazioni zia Emma apparecchiò un angolo del tavolo mentre mamma fece il suo ingresso con una fumante pirofila ricolma di spaghetti affogati nel tonno. Avevo una fame da lupi e per qualche minuto il centro dei miei pensieri fu quello di eliminare il languorino che mi perseguitava ma tra una forchettata e l’altra l’affascinante parlata romanesca di Sergio mi conquistò. Raccontava del suo amore per la montagna e la natura, del desiderio di trascorrere vacanze e fine settimana in un luogo tranquillo, lontano dalla frenetica vita di città. Quel giorno mentre tornava da Rocca di Mezzo scorse all’altezza dell’”ancimata” alcune luci  in lontananza e avvolto da una leggera foschia scoprì un paesino adagiato su una dolina immersa nel silenzio. Colpito dalla paradisiaca visione rimase assorto alcuni minuti duranti i quali avvertì dentro di sé un irresistibile desiderio di visitarlo. Erano gli anni dell’esplosione di Campo Felice, una moltitudine di romani innamorati della neve e della bellezza incontaminata dei luoghi si riversò sul nostro altopiano. Stalle, fienili, case cadenti diventarono preda di questi affamati amanti dello sci. La casa  dove io nacqui nel lontano 1951, in via del Fanciullo, tranne il tetto era ancora in buono stato e disabitata da vari anni. Sergio e la mamma Adriana l’acquistarono per sole settecentomila lire e mai cifra fu più benedetta perché quel giorno Fonteavignone trovò il suo angelo. Tra progetto e permessi trascorsero diversi mesi nei quali Sergio dimorava in casa mia, arrivando da Roma alle ore più disparate. La sua simpatia e la sua bontà conquistarono nel frattempo il cuore dei fontanari, di cui diventò l’amico, il confidente, il rifugio sicuro quando la vita ci chiamava ad affrontare difficoltà insormontabili. I venerdì e sabato sera s’animarono d’incanto, la “Fonte” diventò il centro dell’amicizia, giovani di San Martino e Rocca di Cambio accorrevano al nostro paesello e partecipavano a lunghe serate danzanti o a rilassanti passeggiate alla fontevecchia che terminavano immancabilmente in allegri cori fino alle prime luci dell’alba. La “casa del prete”, da noi risistemata, diventò teatro di appassionanti partite a tressette e poker, tombolate e tornei di dama. Sergio riportò da Roma le carte del “mercante in fiera”, sapientemente ci insegnò a giocare e a far salire il fascino quando incrementava il piatto comperando le carte a prezzi imbattibili. Non ricordo una sola volta una sua vincita, anzi sono sicuro che per la sua magnanimità questo fosse l’ultimo dei suoi pensieri. L’ululato del vento e il freddo pungente nelle lunghe serate invernali ci trovava intorno alla fiamma del fuoco, esilaranti barzellette e piacevoli racconti ci scaldavano il cuore insieme a stuzzicanti castagne e ai rinomati vini dei castelli romani. Quando Sergio iniziò i lavori di ristrutturazione chiese l’aiuto dei giovani del paese, che acconsentirono con entusiasmo, nonostante l’esperienza lasciasse a desiderare. La signora Adriana, alle spalle una vita nelle cucine dei ristoranti Corsetti, ci preparava piatti succulenti e raffinati a pranzo e cena e per noi ragazzi più che un lavoro era una festa: i suoi proverbiali crostini ossessionano piacevolmente i rimpianti di una gioventù che vive ora nei ricordi. Quando la casa fu ultimata Sergio e la mamma non furono più soli, i nipoti di Napoli e i figli della sorella Clara, Annalisa e Nicola, la riempivano di amici per le settimane bianche. Anni indimenticabili in cui piazze e strade fontanare erano un ribollio di voci festanti e tute variopinte. La piccola comunità, grazie a Sergio, s’arricchì di brave persone il cui elenco sarebbe arduo, ma tra i più assidui ricordiamo con affetto il cugino del Re Costantino di Grecia e sua figlia Gina, la zia Virgina, il cugino Anselmo, l’amico di Roma “Sor Giuseppe” e le loro famiglie. “La Fonte è la nostra casa, la dobbiamo amare, rendere più bella e pulita” spesso Sergio ribadiva questo  concetto quando lo si incontrava per le vie, armato di cofana e mazzetta a cementare selci e piastrelle o, con carriola, pala e scopa, a ramazzare foglie, carte e altri rifiuti, sempre accorto ai problemi e pronto alla soluzione. Una Domenica in cui pioveva a dirotto notò che i fedeli all’uscita della Messa non avevano il minimo riparo né la possibilità di scambiare una parola o un semplice saluto; un paio di settimane dopo una tettoia in cemento armato completa di gronde e canali colmava la lacuna. Quella volta rischiammo molto in quanto le Belle Arti minacciarono denunce per quell’abuso edilizio senza progetto né autorizzazioni. Ci salvò il nostro parroco Don Mario Sacco addossandosi l’intera colpa, sia per quell’illecito che per la Madonna in ceramica (donata dal Dott. Allasia) collocata sulla medesima facciata. Le sante feste erano per la famiglia Corsetti occasione di fratellanza, la vigilia di Pasqua e di Natale la signora Adriana infornava ghiotti dolcetti e torte squisite. Appena terminata la Santa Messa il buon Sergio bussava alle porte del paese omaggiando tutti di abbondanti razioni e auguri. Per la Pasquetta del 1974, giacché molti di noi lavoravano a Campo Felice, Sergio propose un’inedita scampagnata sulla neve con gigantesca arrostata generale e la scelta cadde sullo ski-lift “vallone” dove avevo la mansione di macchinista. La sciovia era situata in una valle raggiungibile solo da esperti sciatori, motoslitte e battipista. La neve superava i due metri, così già dal sabato iniziammo a scavare l’enorme buca per scoprire il terreno su cui poggiare le graticole. La fatica fu immane, ma la serenità di quel giorno straordinario è tuttora vivida quando scorro l’album della memoria. Sergio non badava a spese per rendere accogliente il nostro amato borgo, così un giorno di fine autunno tornò da Roma con tanti alberi di profumato tiglio da porre ai lati delle strade; fummo tutti entusiasti a quell’idea e muniti di pale e picconi in poche ore approntammo buche e disponemmo le piante per il riposo invernale. Trascorsa una sola settimana arrivò il Dottor Allasia con la moglie canadese Pauline, avevano comprato casa a Fonteavignone per godere un po’ di relax. La signora Pauline soffriva di una forte forma di allergia alla fioritura primaverile del tiglio e rimase profondamente turbata dalla novità, il suo sogno rischiava di andare in frantumi e la desiderata casetta di essere rivenduta. Quando Sergio venne a conoscenza del problema ne parlò con noi ragazzi e nel giro di una settimana le piante di tiglio vennero sostituite con verdeggianti abeti che a tutt’oggi svettano in paese e sono testimonianza del buon cuore, del rispetto e della sensibilità che quest’uomo aveva per i propri simili. Egli soleva spesso ripetere: “tra qualche anno andrò in pensione e la Fonte diventerà il porto dal  quale non salperò fino alla fine dei miei giorni”; quel sogno si spezzò in una fredda e nebbiosa mattina di primavera allorché il Padre Celeste richiamò in cielo il suo angelo. Se oggi Fonteavignone ha una pro-loco, una squadra di calcio che milita da tre anni in un campionato di calcio, un sito internet che diffonde le notizie ai nostalgici paesani sparsi nel mondo, se i nostri figli tornano volentieri al paese e rispettano i sacri valori della vita, molto di questo merito va a Sergio e ai suoi insegnamenti. Da lui abbiamo imparato che la felicità è stare bene insieme, che l’unione è forza, che l’amore vince sempre, che il rispetto non ha prezzo e la bontà alla lunga paga, che tutti i tesori del mondo non valgono un amico, che un sorriso e una parola buona riscaldano il cuore e danno speranza. Quando si è giovani pensiamo egoisticamente che tutto ci sia dovuto e ciò che ci circonda sia piovuto dal cielo. Con l’età le opinioni cambiano, il passato lontano diventa lo specchio trasparente della nostra esistenza, mentre il lavoro e la condotta di chi ha ben seminato diventano nitidi nella nostre coscienze. Arriviamo in ritardo, Sergio, per dirti grazie, ma tu puoi leggere nei nostri cuori e sai che l’affetto della Fonte per te era sincero, che le nostre bocche avare di riconoscenza e i nostri atteggiamenti privi di smancerie e tenerezze lo erano per pudore o timidezza. Grazie Sergio per aver scelto il nostro paese rendendolo partecipe della tua vita e grazie per averci onorato della tua amicizia.

(Pasqualino D’Ascenzo)