TRE QUARTI E NA GAZZOSA

A volte sono gli odori ad aprirci le porte della memoria e a me basta entrare in una vecchia cantina di vino per far rivivere le suggestioni che da bambino provavo dentro a quelle della Fonte. In realtà il termine "cantina" lo collego in particolare al locale di Lidia (per chi ha qualche anno più di me era di "Lionora"), perché quello più grande era "lo spaccio" di Orazio e Demetrio mentre quello di zio Enolino era "la bottega", termini ormai obsoleti ma intrisi di sottile nostalgia per quando il paese era ancora discretamente popolato e generava un piccolo commercio e una dipendenza più limitata verso gli altri paesi. Il forno funzionava ancora a pieno regime e bastava passarci vicino per respirare un profumo che rendeva irresistibile la voglia di assaggiare il pane appena sfornato. Ma l'odore più vivo lo respiravo all'interno di spaccio e cantina, era quello acuto del vino che aveva impregnato i tavolini quadrati e un pò appiccicosi attorno ai quali gli uomini si riunivano la sera per giocare a carte; davanti ad ognuno il bicchiere riempito con il "trequarti e na gazzosa" dalla tipica brocca di vetro o dai più modesti "quartucci", riforniti a loro volta con frequenza dai titolari dell'attività. A rendermi l'atmosfera più intrigante era la nuvola di fumo che avvolgeva questi omaccioni con le facce bruciate dal sole durante il lavoro sui campi e nei pascoli o in qualche cantiere, le voci arrochite che si alzavano di tono all'ultima mano e il suono secco delle grandi nocche che "bussavano" sul tavolo dopo una giocata di una certa valenza (o almeno così veniva da pensare). Non sempre a fine serata tutti erano in grado di tornare a casa sulle proprie gambe, allora il più malfermo veniva accompagnato a braccia dai "compari" più sobri dopo percorsi zigzaganti, sperando di eludere gli strali delle donne di casa. Strali perlopiù inevitabili alla fine delle spossanti e chiassose partite di morra e morretta seguite dall'immancabile passatella. Il sabato e la domenica pomeriggio lo spettacolo più attraente erano le sfide sui campi da bocce di zio Enolino, che richiamavano giocatori e avventori anche dai paesi vicini; il contapunti della Peroni pareva un grande orologio e io restavo affascinato in particolare dai cosidetti "sbocciatori", che con movenze eleganti riuscivano a far volteggiare in aria bocce che io faticavo ad alzare. Camminando per il paese era frequente incappare nel richiamo dei vecchi seduti davanti le proprie case: "vagliò ve ecch! Vamm a piglià le esportazioni senza filtro". Il rispetto per gli anziani era sacro e in un lampo si provvedeva ad accontentarli, per guadagnarsi la loro simpatia e magari evitare quei dolorosi pizzicotti sulle guance che insieme alle ancor più odiose "carocchie" sulla testa erano l'incubo di noi ragazzini. Oggi tutte quelle persone non ci sono più ma le loro umili esistenze rivivono negli episodi singolari o burleschi che si tramandano fino alle nuove generazioni, spesso incredule delle peripezie narrate, eppure corredate da quella serena e genuina semplicità quasi estinta dal virtuale benessere concesso dal progresso ai nostri giorni.

(Fausto D'Ascenzo)