MAESTRI DAVVERO
"UNICI"
In questi giorni di dibattiti e scioperi sulla riforma della scuola i miei pensieri sono tornati indietro di tanti anni e, ricordando, ho messo a fuoco i volti delle mie maestre e maestri e il loro modo di insegnare. Chiedo scusa se s’inserisce in un argomento complesso una che di scuola capisce poco, avendo frequentato l’Università della ‘Valle Remuzza’ e la specializzazione in un’officina metalmeccanica… ho avuto anch’io, ai miei tempi, la maestra unica, unica per tutte le cinque classi, e che cambiava ogni anno: una maestra su una pluriclasse, insomma, per di più ogni anno nuova. Le ricordo tutte con affetto, ma in modo diverso, come diverso era il loro modo di insegnare. Ricordo il rigore della maestra Adriana quando spiegava matematica e quei piccoli pugni sulla testa quando non capivamo, così come le sue lievi carezze quando un compito era stato fatto bene… ricordo la maestra Ena Benedetti, insegnava italiano in modo unico, ci portava da leggere i suoi libri coinvolgendoci molto e facendo sentire noi i veri protagonisti. A quei tempi viaggiare era impossibile in inverno, quando la neve cadeva abbondante; la maestra Ena non poteva ritornare ogni giorno a casa sua, a Rocca di Mezzo, così in alcuni periodi invernali alloggiava a casa mia. Prima di andare a letto amava bere una tazza di cioccolato con noi e, stando insieme, continuava a raccontare storie e ad insegnare. Ricordo anche una maestra di Paterno e la sua passione con cui spiegava storia; anche lei alloggiava a casa mia, portando addirittura con sé la figlioletta di pochi anni che mia madre accudiva durante l’orario scolastico. S’instaurò un legame molto forte con questa maestra, tanto che per qualche giorno alla fine anno scolastico m’invitò a casa sua. La sua casa era piena di libri come piena di libri era la stanza in cui dormivo io… ma le mie notti erano bianche, perché le passavo leggendo tutto quello che potevo e fu proprio lì che lessi per la prima volta: La capanna dello zio Tom, Robinson Crusoe e tanti altri racconti. Mi torna in mente con particolare affetto anche il maestro Vittorio Iannarelli e credo che, come me, lo ricordino anche molti miei coetanei della Fonte. Veniva da L’Aquila e nei giorni di brutto tempo noi alunni andavamo ad aspettarlo e poi ad accompagnarlo all’Arifrata. Lui preferiva scienze, musica e canto… ma non si limitava a spiegare, comunicava la passione in ciò che diceva, spronandoci ad approfondire e ad andare oltre, aprendo così la nostra mente verso nuovi orizzonti. Da L’Aquila ci portava, oltre ai libri, anche squisiti dolcetti a forma di frutta che noi bambini chiamavamo ‘fru fru’, scoprendo poi più tardi che erano dei ‘wafer’. Ci portava anche spartiti musicali insegnandoci a cantare anche arie liriche, come ‘Va’ pensiero’ di Verdi, raccontandoci l’intera storia del Nabucco. Memorabili i suoi scioglilingua da imparare a memoria (“Se l’arcivescovo di Costantinopoli…”) per le gare in classe, sistematicamente vinte da Fernando, nostro amico morto purtroppo in giovane età. Nelle gite alla ‘Tagliata’ e dintorni insegnava ai ragazzi come si potavano gli alberi e l’importanza della natura e della sua evoluzione. Perciò mi chiedo, e mi riallaccio a ciò che succede oggi: potrebbero essere racchiuse in un’unica persona tutte queste doti? Indubbiamente sarebbe un genio della natura… e di geni non è che il mondo sia pieno, anzi. Allora: maestro unico sì o no? Beh, la ‘Valle Remuzza’ dice di no.
(Antonietta D'Ascenzo)