I L     R I O

Ormai da molti anni non vi sono più tracce. Quando io ero ragazzo il RIO rappresentava qualcosa di molto importante per Stiffe, il suo percorso era stato predisposto in maniera tale che tutti gli orti, all'interno e all'esterno del paese, potessero essere irrigati. Durante i mesi estivi diventava un protagonista: oltre che per irrigare, l'acqua veniva prelevata per lavare e per abbeverare gli animali domestici, non tralasciando il senso di frescura che diffondeva lungo le strade che attraversava. Il suo percorso  iniziava dove ora è l'imbocco alle Grotte e scorreva sul ciglio superiore del piccolo sentiero ai lati del quale crescevano rigogliosi e folti cespugli spinosi di more selvatiche, di biancospini e molte piante di ortica. (in una filastrocca del tempo gli abitanti di Stiffe venivano detti orticari). Il RIO era una piccola opera di "ingegneria idraulica": seguiva una pendenza prestabilita inserendosi nelle anse dei "breccioni" e contornando le sporgenze di rocce. Lungo il percorso, prima di arrivare alle "pratucce" (dove oggi è il parcheggio) alcune persone avevano messo a dimora piante di pioppo e di noci. Una di queste piante di noci cresceva ai piedi di una sporgenza di roccia sulla quale si adagiavano i rami ed era quindi facile salirvi sopra ed allungare le braccia  per raccogliere le noci. A Stiffe, intorno al 1935 si aggirava un uomo (oggi verrebbe definito un barbone), credo fosse originario di Tussillo, che, non  avendo una casa, d'inverno dormiva in un angolo del forno comunale e d'estate dove capitava. Quest' uomo aveva capelli e barba lunghi e incolti, vestiti dimessi e adattati alla meglio e andava quasi sempre scalzo, lo chiamavamo  cavaglio (cavallo). A noi ragazzi faceva un paura, anche se qualcuno più coraggioso gli lanciava contro dei sassi e poi scappava. Una mattina d'autunno fu rinvenuto cadavere ai piedi del succitato noce, sicuramente cadde mentre cercava di raccoglierne, vennero il medico e le autorità giudiziarie per adempiere le questioni burocratiche, ma non c'erano dubbi sulle cause della sua morte. Questa morte sconvolse il paese perché non c'era nessuno a farsi carico del cadavere, ma soprattutto sconvolse noi ragazzi perché lo vedemmo in condizioni raccapriccianti, mentre lo portavano in basso adagiato su una specie di slitta fatta con  pali di legno. Tutto questo per significare che da quel giorno il luogo  accanto al RIO dove era morto quest'uomo divenne maledetto, e quando noi ragazzi, che quasi sempre dovevamo andare a chiudere l'acqua dopo l'irrigazione, mandati dai genitori, avevamo terrore ad attraversare quel luogo, tanto che deviavamo l'acqua alle "pratucce" che si trovavano prima di quel luogo. Le "pratucce", erano chiamate così perché l'acqua limpida e fresca del RIO  attraversava una zona pianeggiante di prato sempre verde durante l'estate: chi  dei ragazzi della mia età non ricorda quando ci sdraiavamo a terra e immergevamo il  viso nell'acqua per dissetarci? I  più mattinieri o quelli che avevano più cose da sbrigare durante il giorno, andavano all'alba a "mettere" l'acqua per irrigare gli orti, successivamente si prenotavano quelli della zona in cui l'acqua si trovava e così per tutto il giorno e per tutto il periodo estivo.

Quasi sempre i ragazzi o le donne dovevano badare all'acqua perché gli uomini adulti durante il giorno erano impegnati in lavori più importanti e faticosi ma a sera, poi, erano i ragazzi, perché di gamba lesta, a dover andare a chiudere l'acqua non senza però, un po’ di timore quando dovevano transitare davanti al luogo dove era morto Cavaglio  perché venivano in mente i racconti ascoltati di fantasmi e di spiriti vaganti senza pace. Durante i primi tempi, ma anche dopo qualche anno, passare davanti a quel noce, soprattutto se di notte, era come fare una sfida con se stessi e così, come scritto, il più delle volte l'acqua veniva deviata alle "pratucce" e fatta cadere a precipizio nel burrone. L’acqua del Rio prima di arrivare al paese passava davanti ad una CROCE che  è ancora sullo stesso dirupo e le numerose piante di giglio che la continuano a contornare sono la testimonianza di un passato che non vuole morire. Settanta anni orsono quando vi si passava davanti , se non si recitava una Ave Maria, era istintivo farsi il segno della croce, oggi transitano al suo cospetto migliaia di persone con la più naturale indifferenza, ignari della ragione per cui si trova lassù e inconsapevoli di quanto la sua presenza, un tempo, era importante per la vita del paese. Negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale, il paese era isolato, le persone che erano state qualche volta ad Aquila si contavano sulle dita di una mano, passavano anni senza che si vedesse un automobile e quando qualcuna ne arrivava, doveva farsi strada in mezzo alla calca di ragazzi che la attorniavano, all'arrivo ed alla partenza,  per centinaia di metri, attaccati ai paraurti o ai predellini delle porte. Per questo motivo, qualsiasi evento che riuscisse a rompere la monotona e ripetitiva vita quotidiana costituiva una festa, e quelle religiose erano le più ricorrenti ed importanti. La  CROCE ai piedi del castello era uno dei simboli di questi giorni di festa e le funzioni religiose, che la rendevano interessante, erano motivo di contentezza, di serenità e di pace per tutti gli abitanti, anche per quelle persone che erano ritenute mangiapreti. La CROCE, tutti sappiamo cosa vuol rappresentare e non c'è paese che non ha la sua, o le sue, posizionate in luoghi particolari dal punto di vista topografico, spesso alla sommità di qualche monte da dove si scorge un vasto paesaggio. Altre volte  il luogo era scelto da persone particolarmente devote che avevano acquisito benemerenze nei confronti della Chiesa oppure erano luoghi dove si erano verificati fatti miracolosi. Tutta la vita del paese era concepita in funzione della campagna e, con un sentimento religioso molto profondo, era naturale invocare le benedizioni dei santi perché il raccolto venisse preservato da eventi catastrofici. Così il giorno 3 di maggio la processione si inerpicava per le strade del paese per raggiungere la CROCE, e con la croce portata in processione, il parroco, dirigendola tutt'intorno, invocava la salvezza del raccolto. Per quel giorno e grazie a quella CROCE, ora dimenticata, si trascorreva un giorno di gioia collettiva.  Oggi sarebbe impossibile far rivivere il RIO perché il percorso è stato stravolto dai lavori di modernizzazione e, venuta meno lo scopo della sua funzione, non si presterebbe nemmeno per un'attrattiva turistica. Come ogni cosa di questo mondo anche il RIO ha trovato la sua inesorabile fine. I giovani di oggi forse non hanno bisogno del RIO ma io dubito che, quando anche loro saranno avanti negli anni, il ricordo dei telefonini e dei computer sarà così rimasto impresso nel loro animo come nel mio è rimasto quello del RIO. Mi congedo dal RIO ricordando la sua limpida acqua bevibile quasi in tutto il suo percorso, i suoi bordi verdi e fioriti durante tutto il periodo estivo, il rumore inconfondibile delle sue cascatelle, la quiete e la serenità che scaturiva dal rispetto dell'uomo per la natura. Il RIO fu uno dei tanti elementi che caratterizzò la vita di Stiffe negli anni della mia fanciullezza e coinvolse tutti gli abitanti: grandi e piccoli, uomini e donne, poveri e meno poveri (i ricchi non c'erano), quelli della mia generazione lo ricorderanno con profonda nostalgia, come altre cose che si possono vivere soltanto una volta: nella fanciullezza.

(Luigi Marcotullio – Pescara Ottobre 2009)