Era freddo. Giovanni, il piccolo zampognaro, camminava sempre più lentamente. I piedi affondavano nella neve fresca perdendo sensibilità, le mani gli formicolavano nelle tasche e il cappello era ormai un cencio bagnato che non riparava nulla. Il cielo era biancastro, spesso, e Giovanni tremava nel lungo mantello di lana. Si faceva coraggio cercando di pensare che presto avrebbe ritrovato gli altri pastori, con i quali all’alba era partito dagli stazzi per andare a suonare musiche natalizie nei piccoli paesi di montagna. Era la sera di Natale. Un Natale, però, che ormai si annunciava diverso dagli altri. Lontano da casa. Senza noci e mandarini. Senza datteri e fichi secchi. Senza la mamma e i suoi fratellini. Continuava a camminare sotto la neve che scendeva lenta, senza accorgersi che il suo era un girare in tondo, ripercorrendo lo stesso cammino, dove la neve cancellava in pochi secondi le impronte dei suoi scarponi. Sentiva ancora più freddo e il ricordo di casa gli procurava un rimpianto doloroso, una sensazione di solitudine e di abbandono. Allora iniziò, senza accorgersene, a piangere. Si asciugò gli occhi e capì di essersi perso. “Forse sono vicino al paese – pensò - la strada non è molta, non posso essermi allontanato”. Ma non aveva punti di riferimento, solo il bianco della neve, tutto intorno. Ricordava di essere passato, con gli altri pastori, prima che nevicasse, nei pressi di una pietra dalla forma singolare che il padre gli aveva indicato chiamandola Pietra Pezzuta. Dov’era adesso quella sorta di scultura tanto strana? Possibile che anch’essa, pur così grande, si fosse persa nella neve? Perché era rimasto indietro, all’uscita della Fonte? Le case con le finestre illuminate, gli uomini che in piazza, davanti alla fontana, si scambiavano gli auguri prima di tornare in famiglia, l’odore della legna che bruciava, del pane che cuoceva nel forno accanto alla chiesa, avevano risvegliato in lui la nostalgia, il desiderio di casa , e così aveva tardato a seguire suo padre e gli altri zampognari. Stanco e disperato, si lasciò andare a terra. Chiuse gli occhi, sperando in un miracolo, con le braccia strette intorno al corpo. Quello che sentì lo fece rabbrividire. L’ululato di un lupo. Un ululato che ben conosceva. Il lupo chiamava, così, i suoi fratelli alla carnaccia, li invitava al banchetto. Paralizzato, Giovanni chiuse gli occhi e si coprì la testa con il mantello, abbracciando la zampogna, come se essa potesse proteggerlo dal pericolo che lo minacciava. Capì come dovevano sentirsi gli agnelli quando, a Pasqua, venivano condotti al macello. Nelle orecchie l’ululato del lupo si confondeva con il ricordo di quel belare di agnellini. Sentì i passi dell’animale, leggeri, appena percettibili nel silenzio ovattato. Il lupo mugolò e Giovanni pensò che fosse arrivata la fine. Non era solo, il lupo, c’era la sua compagna con lui. Alla bestia non sembrava vero di poter banchettare, in quella sera fredda che offriva ben poche speranze di riempire lo stomaco. La compagna del lupo, però, fece una cosa strana. Annusò Giovanni tutto intorno, poi si accovacciò accanto a lui, stringendoglisi al corpo, come fa una madre per scaldare i cuccioli. Il lupo la guardò sconcertato. La lupa lo fissò negli occhi e il suo sguardo era severo e deciso. Il lupo ricambiò lo sguardo, confuso e, sollevando il capo, ululò ancora una volta. La sua compagna, con una specie di brontolìo secco, lo interruppe e lo guardò di nuovo. In quegli occhi il lupo vide qualcosa che stava dimenticando. Vide dei cuccioli sdraiati nella tana accanto alla madre che li allattava, vide gli stessi cuccioli che giocavano intono a lui rincorrendosi.. Vide i suoi figli, ormai giovani lupi, che si allontanavano per cercare le loro compagne. E comprese. Con un sospiro si distese anche lui accanto a Giovanni, e ricambiò lo sguardo della lupa. Si capirono. Stavolta si capirono. Chi non capiva, però era Giovanni. Ormai viveva in un sogno, una specie di sogno che non riusciva a seguire. “Sono morto? Mi hanno già mangiato? Sono nel mio letto? Devo svegliarmi?” Tirò fuori una mano dal mantello per capire dove fosse e, allungandola, toccò il capo della lupa. Terrorizzato, fece per ritrarla ma l’animale gliela leccò uggiolando, come per rassicurarlo. Poco convinto, Giovanni saltò in piedi. Guardò i lupi incredulo. Anche gli animali si alzarono ma lentamente, per non spaventarlo. Il lupo, senza scomporsi, prese a camminare, e la lupa con il muso, spinse Giovanni nella stessa direzione. Il lupo, guardando fisso davanti a sé, proseguiva il cammino, con sicurezza, come se sapesse dove dirigere i passi. Giovanni lo seguiva come inebetito e la lupa chiudeva il piccolo corteo. Giunsero così davanti ad una capanna. La strana processione si fermò, incerta sul da farsi. Una giovane donna si fece avanti sorridendo. Prese per mano Giovanni, invitandolo ad entrare. Il lupo si arrestò intimidito ma la sua compagna, scodinzolando, seguì il piccolo zampognaro senza aspettare inviti. Il compagno, drizzando le orecchie, la seguì. All’interno della capanna un Bimbo sgambettava sulle ginocchia del padre, mentre un asino e una mucca masticavano del fieno accanto ad una mangiatoia. La donna mise del pane in alcune ciotole, vi versò del latte caldo, ne porse una a Giovanni e mise l’altra in terra. Il piccolo zampognaro bevve e mangiò con avidità. La lupa si avvicinò senza timore e si sfamò mentre il suo compagno, poco convinto, guardava torvo l’asino e la mucca che, senza degnarlo di uno sguardo, continuavano placidamente a ruminare, e pensava, “Sono un lupo, non un agnellino. E non ancora vegetariano. I due quadrupedi, quelli sì, che farebbero felice il mio stomaco”. Ma la fame ebbe la meglio sul suo malumore ed anche lui si avvicinò alla ciotola. Dopo essersi sfamato, Giovanni si avvicinò al Bimbo, che continuava sorridere e a sgambettare. “Cosa posso fare per ringraziare questa brava gente?”, pensò. E allora prese la sua zampogna e iniziò a suonare. La nenia era delicata e soave. Il Bimbo sorridendo, pian piano, si addormentò. Giovanni smise di suonare e, cedendo alla stanchezza, si distese accanto al Piccolo e si lasciò andare ad un sonno ristoratore. I lupi, l’uno scettico, l’altra fiduciosa, si accovacciarono ai piedi dell’uomo che prese a intagliare una piccola culla. Poco dopo arrivarono i pastori con le loro zampogne. Cercavano Giovanni da ore e, vedendo il fuoco acceso nella povera capanna, si erano incamminati in quella direzione. Lo spettacolo che si mostrò ai loro occhi era sorprendente. Increduli restarono sulla porta a guardare. Si tolsero i berretti dal capo, con un timore reverenziale e commosso. La donna si fece da parte per lasciarli entrare, porgendo loro spesse fette di pane nero. L’uomo smise di lavorare e, in silenzio, per non interrompere il sonno dei piccoli, sorrise salutandoli con un cenno del capo, La lupa aprì un solo occhio, mostrando una tranquilla indifferenza. Il lupo alzò il capo e li guardò tutti bene in viso. Il suo sguardo era chiaro “Vabbè, è la notte di Natale, facciamo finta di nulla. Ma da domani tenete d’occhio le vostre pecore. E sapete che non scherzo”. La neve continuava a scendere, lenta e silenziosa. Una stella con una lunga coda comparve in cielo, portando luminosa un messaggio di pace.