IL MULINO
Un antico legame tra FONTEAVIGNONE E STIFFE era rappresentato da un
mulino ad acqua costruito intorno al 1850 dalla famiglia di Angelo
Pellegrini, noto patriota del Risorgimento Nazionale e, all’epoca, unico
benestante del paese. Posso immaginare che i tanti matrimoni che si celebrarono
tra le persone di Fonteavignone e quelle di Stiffe, fossero la conseguenza,
anche, della presenza di questo mulino. Agli inizi del 1800, Fonteavignone,
come pure Terranera e Rocca Di Mezzo, facevano parte del mandamento di
S.Demetrio dove spesso i loro abitanti erano costretti a recarsi per le varie
incombenze amministrative. Stiffe era un passaggio obbligato e la presenza del
mulino non poteva che essere un ulteriore elemento importante per consolidare
il legame tra gli abitanti di questi paesi. Non voglio con questa narrazione
descrivere nei particolari tutte le opere che furono realizzate per la
costruzione del mulino e nemmeno parlare di tutti gli accessori e le modalità
di funzionamento del mulino stesso ma, soltanto, rievocare alcuni ricordi che
conservo ancora nitidi nella mia mente. Mio padre fu uno degli emigranti che
all’inizio del 1900 si recarono oltreoceano per inseguire, come tanti altri
milioni di italiani, IL SOGNO AMERICANO. Il SOGNO AMERICANO per i poveri
emigranti di Stiffe consisteva nel poter mettere da parte i soldi che
occorrevano per non far più soffrire la fame ai familiari che lasciavano in
paese, accomodarsi o farsi una casa decente e comperare qualche appezzamento di
terreno. Tutti realizzarono questo sogno e tutti vollero morire nel paese che
li aveva visti nascere, facendo tesoro di quello che avevano appreso in questo
nuovo mondo, e mai dimentichi delle proprie radici, il cui richiamo
conservarono gelosamente nel loro animo durante lunghi anni di sacrifici,
umiliazioni e sofferenze. Quando mio padre, nel 1921, tornò dagli Stati dopo 12
anni di ininterrotta permanenza, era certo di aver soddisfatto il desiderio che
lo aveva spinto ad emigrare. Così come era esploso il fenomeno
dell’emigrazione, era esplosa la decadenza di molti proprietari terrieri della
nostra zona cui era venuta meno la mano d’opera per la coltivazione dei campi.
Una volta tornati in paese con i sudati risparmi e con una diversa mentalità
acquisita in quel nuovo mondo, non furono più disposti a subire la prepotenza
dei signori che per poter continuare la loro vita dispendiosa furono costretti
a vendere le loro proprietà agli emigranti stessi. Molte delle vecchie case di
Stiffe e quasi tutti i migliori terreni irrigui ai lati della Foce e del Fiume
Aterno erano della famiglia Pellegrini e di altri Signori dei paesi vicini, ed
io, che conobbi tutti gli emigranti del paese, posso assicurare che tutti
acquistarono qualcosa a seconda dei propri risparmi e delle proprie necessità.
Mio padre acquistò il mulino con tutti i suoi accessori, non solo per crearsi
un’immediata fonte di reddito, ma anche per poi costruire, sopra e ai lati il
locale dello stesso mulino, la sua nuova casa. Quando io ero ragazzo il mulino
funzionava a pieno ritmo e forse oggi potrei avere la pretesa di essere una di quelle
poche persone ancora viventi che, nella fanciullezza, conoscesse tutte le
lavorazioni del mugnaio e, spesso, averle praticate. Con l’avvento dei mulini
elettrici l’attività si ridusse notevolmente, macinare per i soli abitanti di
Stiffe non era più conveniente e mio padre, intorno al 1935, decise di
chiuderlo. Successivamente scoppiò la seconda guerra mondiale ed infine ci fu
l’armistizio dell’8 settembre 1943. In quell’autunno i tedeschi lo occuparono
per farne un deposito di retrovia per i più svariati materiali occorrenti alle
truppe che si trovavano al fronte. Il mese di giugno 1944, prima di lasciare il
paese, riconsegnarono le chiavi a mio padre senza avervi arrecato danni
consistenti. La guerra, che continuava più a nord dell’Abruzzo, oltre a tanti
lutti, aveva lasciato dietro di se miseria e fame. Mio padre, intravedendo una
possibilità di guadagno, non perse tempo a riattivare il mulino visto che
quelli elettrici non potevano funzionare per mancanza di corrente. L’inverno
1944/1945 fu l’anno d’oro per il nostro mulino perché l’acqua non mancava mai e
noi figli eravamo in grado di farlo macinare notte e giorno facendo i turni.
Scendevano dall’altopiano delle Rocche carovane di muli e di cavalli, il
tracciato della strada che lo collegava a Stiffe era completamente scoperto
dalla vegetazione e sembrava una ferita aperta nella montagna. Le bestie
disposte in fila indiana si muovevano a zig-zag secondo i camminamenti
formatisi sul piano stradale a causa dello scorrimento delle acque
superficiali. Era fantastico vederle apparire dopo il MALEPASSO: man mano che
si avvicinavano il suono dei campanacci si faceva sempre più intenso, per poi
cessare definitivamente quando arrivavano e sostavano nelle vicinanze del ponte
sulla Foce. Quell’inverno 1944/45 ero tornato a scuola ad Aquila ma molte volte
credo di aver dato il cambio ai miei familiari e mi ritornano nitidi i ricordi
di quando mi fermavo durante la notte. Il vano del mulino, ricolmo di sacchi di
grano, era sempre avvolto dall’oscurità e dal silenzio esterno, e tutta la luce
era fornita da un lume a petrolio. Fuori c’era il silenzio ma dentro il locale
dominava il ron-ron delle macine: un rumore pacato, monotono e quasi
conciliante. Quanti ricordi...
(Luigi
Marcotullio)