Il Gigante e MaYa, ovvero il Gran
Sasso e la Maiella
(liberamente tratto dal libro ‘Majella madre’)
“… quando all’Ave Maria la campanella
resona co ‘na voce fiacca fiacca
e gliu Gran Sassu guarda la Majella
com’aquila che gira senza posa.
Stù cant’è fatte de malinconia
e la montagna è tutta una malia…”
(dalla canzone "l'ellera verde")
Narra la leggenda che
Maja fosse una Dea e che abitasse nella lontana Frigia, in compagnia del suo
unico figlio, il quale era talmente grande da non essere più chiamato col suo
nome ma semplicemente il ‘Gigante’. Un giorno, durante una battaglia, il
Gigante fu ferito mortalmente. La madre chiese aiuto ad un oracolo, il quale
così parlò: “Su una montagna altissima, di là dal mare, ai piedi di un Grande
Sasso, cresce un’erba miracolosa in grado di guarire tuo figlio”. Maja radunò
le sue cose, le caricò su una nave insieme al figlio morente e, accompagnata
dai suoi servi, partì alla ricerca della grande montagna e dell’erba
miracolosa. Navigarono per giorni e giorni fino a quando, finalmente,
approdarono nel porto di una città chiamata Ortona. La montagna però ancora era
lontana e, dopo aver chiesto indicazione agli abitanti, si rimisero in viaggio
trasportando il corpo del Gigante su una barella. Dopo giorni di duro cammino
arrivarono sulla magica montagna, ma quando l’erba era ormai vicina ad esser
colta, il Gigante, stremato dalla fatica, morì. Maja lo seppellì ai piedi del
Grande Sasso che, in onore del figlio, da allora fu chiamato ‘il Gigante’. Poi,
impazzita dal dolore, fuggì sulla montagna di fronte, dalla quale si poteva
vedere il luogo dove era sepolto il figlio. Visse nelle grotte, in compagnia
delle bestie feroci, aiutata e sfamata dai pastori del luogo, impietositi dalla
sua triste storia. Proprio loro, alla sua morte, la seppellirono sulla montagna
ove era vissuta e che, in suo onore, fu chiamata ‘Majella’ cioè ‘madre’, come
ancor oggi viene chiamata dagli abruzzesi. Narrano i pastori che, quando sulla
Majella infuria la bufera, insieme all’urlo del vento, si senta la voce di Maja
che, disperata, invoca suo figlio.
(Antonietta D'Ascenzo)