I FIGLI NON SONO NOSTRI

Stasera assistevo ad un programma alla televisione, ispirato alla vita e le opere di San Filippo Neri, "Preferisco il Paradiso". A un certo punto, in una scena, un papà da uno schiaffo al figlio che gli ha disobbedito. A lui il Santo ricorda che siamo solo polvere perché è solo il Creatore che dà la vita. Allora mi sono tornate in mente  i versi di Gibran: "I vostri figli non sono i vostri…" e con essI  un episodio della mia giovinezza ormai lontana. Chissà perché quando ci avviciniamo alla vecchiaia i ricordi, anche quelli più tristi, più amari, diventano dolci, impalpabili. Forse perché ne sono protagonisti coloro che non ci sono più  ma che con noi hanno camminato per un pezzetto di strada, che ci hanno dato il loro affetto, i loro sogni, che ci hanno trasmesso un pensiero, che hanno condiviso con noi gioie e dolori e che tutti, ognuno a modo suo, ci hanno dato qualcosa. Ero una giovane donna di diciotto anni e mi ero appena fidanzata, di nascosto  ovviamente, con mio marito. Non volevo che il mio papà lo sapesse e non per imbrogliarlo ma perché desideravo conoscere sola senza preconcetti questa persona e poi sapevo che sarebbe stato geloso. Il mio papà lo è sempre stato dei suoi affetti ma non per cattiveria, bensì perché aveva paura di perdere il bene dei suoi cari. Non aveva capito, malgrado fosse un uomo intelligente, che amore chiama amore, che non togliamo il bene ai nostri genitori per darlo a qualcun altro: nel cuore c’è sempre posto e più ne dai, più ne entra. Gli ci sarebbe voluto molto tempo per comprenderlo,  accettare ed amare i suoi generi come due figli. Io, da parte mia, credevo di aver ben tenuto segreto tutto, ma evidentemente non c’ero riuscita perché un giorno, mentre lui mi riaccompagnava a casa, me lo vidi seguirci con la macchina. Era una semplice passeggiata da casa a scuola, ma vederlo dietro di noi ci impaurì e scappammo. La punizione che ne seguì fu oltremodo dura: chiusa in casa con la sola possibilità di andare a scuola. Niente uscite con le amiche, niente passeggiate, niente di niente. Ma io avevo tre angeli: i miei nonni. Arcangelo mi copriva se uscivo dicendo che ero andata comprargli le sigarette, la moglie Assunta cercava di addolcire mio padre, ma chi mi stupì fu nonna Marianna, quella di cui porto il nome. Prese il figlio in disparte e senza tanti preamboli gli chiese:  "Cu è la tè la figlia?" E lui un po’ attonito: "E di chi è?" Al che lei rispose seria e serena allo stesso tempo: "I figlie non so gli nostr, so gli figlie de Dì, recordatele e io a Dì ce la so tenuta redà na figlia”, alludeva alla figlia morta ventisettenne di peritonite. Mio padre abbassò la testa e non parlò più. La nonna non conosceva Gibran ma la sua era saggezza popolare, antica, forte come lei che si era affidata al Signore anche nel dolore più profondo. Oggi sono genitore anch’io  ed ho una figlia lontana in America ed a breve anche il mio giovanotto partirà. Tutto questo a volte mi rattrista ma poi  penso alle parole della nonna; è vero i figli non ci appartengono, appartengono a Dio unica fonte di vita, noi siamo solo operai nelle sue mani, ricche d’amore.

(Marianna Lucantonio)