CASA, DOLCE CASA.

 

I proverbi si sa sono stati definiti la “saggezza dei popoli”; tramandati a noi dai nostri antenati grazie alle loro esperienze vissute, essi, oggi, sono monito e insegnamento per i posteri e l'umanità tutta.  In italiano come in dialetto, gli aforismi sono ormai alla base del nostro vivere quotidiano ai quali  l'essere umano si rispecchia allorquando fatti e realtà vengono a manifestarsi nel corso della loro esistenza.

CASA MIA, CASA MIA,                   

PER PICCINA CHE TU SIA              

A ME SEMBRI UNA BADIA

 

E' MEGLIe NU TOZZe De PANe A CASA ME

CHe LA BISTECCA ALL'OSPEDALe

Già la casa! Quelle quattro mura a noi tanto care, frutto di sacrifici e fatiche in cui l'uomo ha riposto e ripone le proprie speranze, i segreti ed i pensieri più intimi.  Quattro mura di proprietà ma soprattutto di libertà, dove crescere la famiglia, curarsi le ferite,  combattere le insicurezze e recuperare le forze per affrontare il domani con rinnovato vigore ed  entusiasmo. Quello che per noi è la casa, per gli animali lo è la stalla, l'ovile o il porcile; luoghi sicuramente  meno puliti ed eleganti ma ugualmente fondamentali e sicuri che infondono a loro il medesimo conforto e sicurezza. Mezzo secolo fa, la “Fonte” non aveva ancora turismo, in compenso era molto abitata da uomini ed animali; i piani bassi delle abitazioni ( divenuti ora taverne o appartamentini) avevano per lo più la funzione di stalle, poiché come tutti sappiamo la vita in quegli anni era dedita alla campagna e alla pastorizia. Il mondo da allora è cambiato vorticosamente, l'uomo moderno afferma ora di essersi civilizzato grazie a un presente di comodità e benessere a discapito di un passato assai povero e duro; poco  importa però se la sete dell'avere e del potere abbia nel frattempo ucciso fratellanza e tranquillità. Oggi si frequentano grossi centri commerciali e saloni automobilistici, gli stessi che i nostri avi chiamavano mercati e fiere. Le fiere (intorno agli anni “50” e ancor prima) nei dintorni del nostro paesino pullulavano un po' ovunque, in esse avvenivano soprattutto compravendite di animali ma anche di merce da scambio tra i nostri prodotti con altri oggetti più disparati. I problemi maggiori per raggiungere questi borghi erano dovuti alle grandi distanze, non auto e asfalto come oggi, ma bestie e strade impervie; attraverso boschi e vallate si percorrevano chilometri su chilometri in groppa a cavalli e ciuchi, ma il più delle volte a piedi con il pericolo di imbattersi in spietati briganti. Le fiere si svolgevano principalmente in autunno e in primavera, stagioni più propizie per l'acquisto o la vendita di animali, fondamentali per la sopravvivenza di ogni famiglia. All'autunno le fiere erano tante, la prima proprio a Rocca di Mezzo l'8 settembre (la più vicina a noi ma anche la meno fornita); la seconda il 31 ottobre e 1° novembre a Paganica (indubbiamente la più grande e importante del circondario); la terza il 9 novembre a Poggio Picenze; la quarta il 21 novembre a S. Demetrio nei Vestini; la quinta il 30 novembre a Stiffe nel giorno del loro patrono S. Andrea, (lì le compere erano mirate principalmente all'acquisto di maialini, talmente piccoli da essere trasportati con le ceste); la sesta il 3 dicembre a Popoli e l'ultima a Magliano dei Marsi nella quale ci si recava solo se dai luoghi su menzionati si era tornati a mani vuote. A primavera, le fiere erano di numero minore ma egualmente affollate e movimentate. La prima si svolgeva a Paganica, ad ogni ottavario dopo la S. Pasqua; lì nel 1950, Lucantonio Domenico (FeTTOCCHIA), all'età di sette anni dormì fuori casa la prima volta in compagnia di altri Fontanari, naturalmente in una stalla (generosamente concessa dal proprietario per quella sera), in località S. Antonio, tutt'ora ancora in piedi ma diroccata e ormai abbandonata.  Il bambino di allora ricorda quell'esperienza con profonda nostalgia, infatti in quei giorni, a meno  di cento  metri da quell'improvvisato dormitorio, sorgeva un piccolo cinema con capienza intorno  alle 70 persone; il film che proiettarono è tutt'ora ben vivo nella mente del figlio di Agapito,  s'intitolava “ Campane per la strada” e vi recitava anche il compianto Luciano Tajoli. Ironia della sorte! Trent'anni dopo, fui assunto dalle Poste Italiane come portalettere a Casalecchio di Reno (Bo); lì, dopo alcuni mesi di centro-scorta (sostituzione di colleghi), mi venne affidata proprio la zona nella quale risiedeva il famoso cantante che ebbi poi la fortuna di conoscere e anche di scambiarci diverse chiacchierate. La seconda fiera capitava sempre alla prima domenica di maggio a Villa S. Angelo nel giorno della festa patronale “Madonna della Libera”, (qui lo scopo principale dei Fontanari era quello di vendere le pecore e le capre più vecchie). Invece a S. Demetrio nei Vestini, dalla primavera fino all'autunno, ogni venerdì, si allestiva un immenso mercato (lì ci si recava in folto numero per vendere grano, orzo, granturco, ghianda ecc. o per scambiare ad esempio some di fasci di legna ed altri tipi di mercanzia con vestiari o oggetti indispensabili al fabbisogno quotidiano). Gli abitanti di Fonteavignone spopolavano quasi il paese per recarsi in queste lontane località e comprarvi l'occorrente; a tarda sera però la strada tutta in salita li attendeva implacabile sul lungo cammino del ritorno che spesso quasi si raddoppiava per la gran quantità di vino tracannato, (a volte capitava anche di riportare qualche malcapitato ubriaco più del dovuto a mò di bisaccia sul basto  del somaro). Ma S. Demetrio oltre ad avere una bella fiera era soprattutto un imponente mercato dove si poteva trovare di tutto, perfino scarpe, non solo eleganti o comode, ma anche molto robuste, che tanto servivano per i duri lavori della campagna e per proteggere i piedi dagli sterpi e dai sassi taglienti. Lucantonio Domenico detto U FANCIULLe (dal quale poi prese il nome la via che vide i miei Natali), aveva fama di essere un pò filosofo; anche in età avanzata egli amava recarsi nei Vestini, soprattutto per acquistare comode calzature in quanto i suoi piedi erano assai difficile da accontentare. Un venerdì di primavera del 1912, Domenico, dopo aver provato circa venti paia di scarpe e finalmente soddisfatto per aver trovato quelle giuste, si sentì dire dal venditore: “ZIO', QUESSe Te DUReNe FINCHE' CAMPe”, indispettito dalla frase, l'uomo alzò lo sguardo e rispose: “BASTA! NeN Le VOGLIe PIU'”, andando via e lasciando il calzolaio con un palmo di naso. Due anni dopo, U FANCIULLe, ancora in S. Demetrio, era intento a misurare dei nuovi scarponi; già una buona oretta e mezza di tentativi era trascorsa, quando alle sue spalle percepì dalla solita voce la seguente frase : “QUANT'E' BRUTTA LA VECCHIA”, l'anziano restò molto offeso dall'insolenza, si voltò, si tolse il cappello e guardandolo dritto negli occhi rispose: “CHE IDDIO TE NE LIBERI”. Il maiale in quei tempi era per le famiglie il quadrupede più importante in quanto oltre a  sfamarle con i suoi prosciutti, salami ecc. per l'intero anno, non aveva un minimo di spreco; basti pensare che da esso si ricavava perfino il sapone, oltre allo strutto indispensabile per  i  vari  condimenti. Il porco, essendo molto ricercato alle fiere, spesso sfuggiva ai Fontanari costretti poi a tornare a mani vuote; a volte capitava anche che la  razza desiderata fosse già terminata dato che c'era chi preferiva la specie più grassa e chi invece quella più magra.  Durante l'arco dell'anno (per chi restava all'asciutto dalle fiere), c'era la possibilità di acquistare i  verri anche alla “Fonte”; dei mercanti abitudinari, infatti, arrivavano nel nostro paesello con lo  scopo di ricavare un piccolo gruzzoletto vendendo i loro animali che ognuno di loro magnificava all'inverosimile. Le povere bestie venivano trasportate con  dei camioncini sgangherati che lasciavano dietro di se una nuvola densa di fumo; erano oltremodo vergognosamente sistemati alla meno-peggio su della paglia (più nera che gialla)  emanante un pessimo odore e fatti alzare a colpi di frusta ogni qualvolta si presentava qualche nuovo acquirente. A Fonteavignone due furono i porcari più in voga negli anni “50”: “PeLLICCITTe” di Villa S. Angelo che aveva i porci di razza migliore in quanto alla fine dell'anno pesavano di più e “QUINTINe” di S. Demetrio che recava un fazzoletto eternamente annodato al collo; quest'ultimo era anche padre di ben 14 figli, (7 maschi e 7 femmine). Asini, vacche, cavalle ed altri animali, oggi come allora al contrario dell'uomo non avevano né il dono della parola né quello della scrittura, così i loro invisibili diari erano sempre in bianco, privi di pensieri e ricordi ma egualmente ricchi delle nostre stesse paure ed emozioni.  Esattamente come noi, gli animali amavano (ed amano) il loro habitat, tanto che al calar della sera  ritornavano a casa, spesso da soli e con puntualità, occupando il posto assegnatogli senz'alcuna  titubanza. In tutte le fiere menzionate, oltre ai commercianti locali, c'erano anche quelli di fuori e Paganica non faceva certo eccezione; il 1° novembre di circa settant'anni fa (era da poco terminata la guerra), Rosa Ottavio (fratello di  Cesare) vi si recò per vendere una giovane e bella mula di due anni. Va detto che il mulo tra i tanti quadrupedi domestici è considerato l'animale più testardo e  dispettoso, ma per Ottavio in quell'occasione tutto andò a buon fine in quanto dei compratori napoletani acquistarono l'animale; alla chiusura della fiera, per il ritorno a Napoli, gli acquirenti  optarono per il valico di Rocca di  Cambio, (la strada nuova e più corta, che passa ora per Fonteavignone ancora non c'era, fu infatti completata solo nel 1967). Al calar della sera, i Fontanari, tra cui Ottavio, si ritrovarono puntuali al luogo dell'appuntamento; accertatosi che non mancava nessuno, senza alcuna fretta, il gruppetto si incamminò per la strada del ritorno rincasando come al solito a notte fonda. Il buon-uomo, molto stanco, riposava da appena due ore quando un rumore incessante di zoccoli che graffiavano il selciato lo svegliò di soprassalto.  Aperta l'imposta l'incredulo uomo vide la mula da poco venduta davanti alla porta della stalla col  muso che tentava di aprirla, (si suppone che la povera bestia  all'altezza dell'Aia dei frati,  riconoscendo i luoghi, avesse rotto la cavezza saltando dal mezzo per percorrere poi felice i quattro  chilometri di campagna e in discesa che portano al paese).  Naturalmente il più contento fu il proprietario che appena venti giorni dopo si recò alla fiera di S.  Demetrio dove riuscì a venderla di nuovo.  A Lucantonio Ascenzo (padre di Achille, Santina ecc.), capitò una vicenda differente ma altrettanto significativa per quanto riguarda le abitudini e l'attaccamento all'abitazione delle bestie. L'uomo aveva un vecchio somaro e purtroppo quell'anno il suo fienile scarseggiava di fieno, così  decise di venderlo per poi ricomperarne un altro a primavera, magari più giovane, risparmiando  oltremodo sul lavoro e sul foraggio.  Il 9 novembre del 1910, alle prime luci dell'alba, un folto gruppo di Fontanari partì per la fiera di  Poggio Picenze, tra loro c'era anche Ascenzo con il suo cadente asinello ridotto a pelle e ossa;  nonostante ciò l'uomo riuscì lo stesso a compiere un discreto affare tornando la sera euforico a casa  con tutti gli altri paesani.  L'inverno volò velocemente e i lavori primaverili come tagliare la legna per il prossimo inverno o  spargere il letame per i campi bussavano prepotentemente alla porte; così come programmato il  buon uomo all'ottavario di Pasqua si recò alla fiera di Paganica con la speranza di comprare un  asino più florido e in forza. Ascenzo girò per ore nella fiera alla ricerca di un buon somaro e dopo averne visionati parecchi fu colpito da un bel ciuco, bene in carne e col pelo lucido, addirittura di un colore molto simile a quello che aveva; tutto soddisfatto l'uomo riuscì a concludere la trattativa tra i complimenti dei paesani per averlo trovato così somigliante e all'apparenza prestante.  Al ritorno per Fonteavignone fu concesso ad Ascenzo ed alla sua fiammante cavalcatura di stare  davanti e tirare il gruppo; l'asino con un solo piccolo accenno sulla cavezza s'incamminò e senza  strattoni o rimproveri imboccò la giusta strada raggiungendo tranquillamente la “Fonte”. Prima di entrare in paese l'animale fece una breve sosta al fontanile, poi, senza tentennamenti né  guida alcuna riprese l'andatura fermandosi solo davanti alla stalla del suo padrone.  Lo stupore di Ascenzo fu immenso nel rendersi conto di aver acquistato di nuovo il suo vecchio  ciuccio; ne  restò così colpito e commosso che decise di non venderlo più ma di trattarlo come uno  di famiglia e di accudirlo fino alla fine dei suoi giorni.

CIASCUNe SA',(SENZ'ALCUNe PeRCHE'),

CH' “OGNUNe E' RE,  A CASA SE'”,

I PURe S'E' VECCHIA O FATTA MALe   

COMe E' Pe NU, E' Pe ...GL'ANIMALe.      

(Pasqualino D’Ascenzo)