CARUSILL

La storia che mi accingo a scrivere fa parte anch'essa di quella tradizione orale che i nostri nonni ci hanno tramandato ed è, in un certo senso, una risposta a quella di Antonietta perché anch'essa ha qualcosa di misterioso.  C'era una volta una povera donna che aveva un figlio al quale aveva dato nome "Carusill" .Questi era un ragazzino sveglio ma con una brutta malattia: una fame perenne. Un giorno che in casa non c'era nemmeno un pezzetto di pane decise di andare a mangiare qualche pera dall'albero che cresceva bello e rigoglioso nell'orto. Ma la sfortuna volle che l'orca del villaggio lo adocchiasse e andasse a porsi proprio sotto il pero, e che tentasse di impietosirlo. In un primo tempo "Caruso" la scacciò, ma poi mosso a pietà le lancio un frutto che, chissà come, andò lontano e che lui, dietro preghiera della donna, andò a raccogliere. Non lo avesse mai fatto perché la furbastra lo acchiappò, lo mise nel sacco con la ferma intenzione di portarlo a casa e divorarlo. Non aveva fatto i conti con la furbizia della sua preda che, con l'aiuto di un coltellino, riuscì a slegarsi ed a scappare via ripromettendosi di non ricapitarci più. Ma la fame si sa è una brutta bestia e pochi giorni dopo spinse il nostro eroe a salire nuovamente sull'albero ed ancora una volta si ripeté la scena precedente ed ancora una volta Carusill finì nelle grinfie dell'orca e per giunta questa volta non aveva nemmeno un coltellino. Arrivata a casa la megera chiamò a gran voce la figlia alla quale diede ordine di cucinarle ben bene il ragazzo mentre lei andava a diramare gli inviti. Ma proprio sulla stoltezza della figlia contava "Caruso" che, con la scusa di volerla aiutare a spaccare la legna, le tagliò la testa con la scure e la mise a bollire nel paiolo: quale non fu la sorpresa e l'orrore dell'orca davanti alla macabra scoperta e, mentre lei piangeva e si disperava, il nostro amico, svelto, le rovesciò addosso il resto dell'acqua bollente e la uccise. Poi prese tutte le sue ricchezze e fuggì dalla sua mamma e possiamo star certi che la fame non la patì più.   

(Marianna Lucantonio)